giovedì 10 maggio 2012

Il Potenziale, questo sconosciuto


Questa volta voglio entrare nello specifico di un argomento "tecnico", un tema dibattuto, che risponde al nome di Potenziale. In particolare farò riferimento alla sua applicazione nei contesti organizzativi, ovvero alle aziende.

Bene, questa parolina magica compare negli uffici HR di una discreta % delle aziende italiane, soprattutto in quelle di grandi dimensioni, che possono permettersi il lusso di fare o di esternalizzare la Valutazione del Potenziale.

Prima di passare a dire la mia vorrei mettere un paio di puntini sulle i, così ci intendiamo meglio:
  1. Il primo è proprio sul concetto di Potenziale
  2. Il secondo è sulla Valutazione del Potenziale
Sul primo punto una delle definizioni che ritengo maggiormente efficace è quella di Luca Stanchieri (affermato personal&business coach, tra l'altro cultore della materia in Psicologia del Lavoro all'Università Lumsa di Roma), per il quale il potenziale è costituito da "energie non impiegate, capacità latenti, che potrebbero essere utilizzate in un futuro più o meno prossimo, ma che però non sono ancora manifestate e quindi risultano sconosciute", sia all'organizzazione, che il più delle volte alla persona stessa. Quest'ultima affermazione lascia di solito basite le persone....invece è piuttosto frequente incontrare persone che non conoscono a fondo le proprie potenzialità, così come i propri limiti, e questo a causa di un'infinità di motivi (e mi riprometto di affrontarne alcuni per scovare qualcuno dei lettori del mio blog); ad ogni modo il tema della potenzialità è legato a quello della consapevolezza (su cui tornerò presto).

Andiamo al secondo punto, per il quale quando parliamo di valutazione del potenziale, intendiamo l'analisi di "ciò che la persona potrebbe fare in più o di diverso rispetto alle sue prestazioni nella posizione attuale” (Borgogni e Petitta, 2003). La valutazione del potenziale analizza in sostanza le competenze già possedute dal lavoratore, ma ancora non utilizzate nella sua posizione attuale, perché non richieste dal suo profilo.

Attraverso la valutazione del potenziale non si cerca di verificare cosa il lavoratore “può imparare”, ma piuttosto di capire se è possibile assegnarlo ad altre posizioni lavorative, che richiedono conoscenze e capacità differenti da quelle impiegate attualmente. Proprio per questo motivo, è utilizzata molto spesso per avanzamenti di carriera o per assegnazioni a posizioni lavorative di maggiore responsabilità.

La Valutazione del Potenziale è dunque innanzitutto un'analisi rivolta al futuro...quasi una predizione, che se adeguatamente supportata dal management può generare una spirale virtuosa nel business aziendale...

martedì 14 dicembre 2010

La diversità e il diversity management

Riprendo il mio blog prima della fine dell'anno, trattando di un tema che mi ha tenuto sveglio fino a tarda notte ultimamente, soprattutto per questioni professionali: parliamo di diversità.

Immaginate un Inter senza Milito: molto probabilmente l’anno scorso il campionato di calcio italiano avrebbe preso una piega differente senza i 22 goal segnati da “el Principe”, come viene affettuosamente chiamato dai propri tifosi il bomber argentino. Ma andiamo un attimo indietro nel tempo, e proviamo a immaginare una Roma priva di Falcao: inutile nascondersi dietro un dito, è soprattutto grazie all’apporto del mitico fantasista brasiliano che nella stagione ’82-’83 la squadra giallorossa conquistò il suo secondo scudetto della storia.
Il calcio è un terreno fertile per l’integrazione delle diversità, è un dato di fatto, almeno dal punto di vista del gioco, eppure quel che accade in uno degli sport più seguiti al mondo non va di pari passo col resto della società, almeno in Italia, diciamolo apertamente.
Le discriminazioni, a volte anche nei luoghi di lavoro, sono infatti all’ordine del giorno, ed hanno come oggetto le differenze di genere, di età, di orientamento sessuale, di religione, di abilità psichica e motoria e chiaramente, di razza.


Da alcuni anni però diverse aziende stanno sperimentando al loro interno un modo differente di approcciare al tema della diversità: parliamo di “Diversity Management”, un principio gestionale nato negli Stati Uniti nei primi anni ’90, che cerca di contrastare ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro.
Il Diversity Management propone dei sistemi di valorizzazione delle differenze e di promozione dell’inclusione sociale, e per realizzarli utilizza soprattutto la comunicazione aziendale, la formazione ed il coaching. Il presupposto alla base è che un’azienda multiculturale è molto più ricca in termini di potenziale umano di un’azienda monoculturale, e per questo maggiormente pronta ad affrontare le sfide di un mercato sempre più complesso e globalizzato.


Diversi studi empirici e analisi statistiche (v. nota a margine), dimostrano come la diversità, se adeguatamente gestita, garantisce effetti virtuosi sulle performance dei team e delle aziende, grazie alle opportunità di interazione che derivano da differenti approcci(primo fra tutti il coaching): riduzione dei fenomeni di assenteismo, aumento della produttività, crescita delle soluzioni innovative e creative. 
Accanto a ciò aggiungo che la tutela della diversità può migliorare certamente la motivazione e il senso di appartenenza, non soltanto verso l’azienda, ma nei confronti dell’intera società, con effetti benefici quindi sulla coesione sociale.


a presto e... se non ci sentiamo prima di Natale...Auguri!
....sotto l'albero il regalino per voi è uno dei miei "dream"::


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Nota: Per gli studi in ambito management, si v. ad esempio la review in “Kilduff, M., Angelmar, R. & Mehra, A., 2000, “Top management team diversity and firm performance: examining the role of cognitions”,Organization Science, 11: 1, 21-34”.
Un’interessante studio si trova anche su: http://didattica.unibocconi.it/mypage/upload/49273_20090112_032848_JELALESINALAFERRARA.PDF

martedì 6 luglio 2010

Autostima ed Entusiasmo

Nel post precedente ho parlato di motivazione, sottolineando l'importanza delle emozioni, eppure esistono numerosi elementi che contribuiscono a influenzare ulteriormente la nostra motivazione:
• Le nostre aspirazioni e ambizioni
• Il nostro carattere
• Il significato che attribuiamo al successo (Valori)
• Le nostre credenze (nel senso definito da Dilts*)
• L’educazione che abbiamo ricevuto
• La nostra storia personale
• L’autostima
• L’entusiasmo


Questi ultimi due punti sono per me cruciali nel raggiungimento dei propri obiettivi ed ho pensato di dedicarvi questo post.

L’autostima è la considerazione che si ha di sé, il valore che ci diamo come persone, il sentirsi all'altezza delle situazioni, di potercela fare, di essere in grado di dirigere la propria vita professionale e privata.
L’entusiasmo è la fiducia, nella vita, nelle nostre capacità, nella convinzione di incontrare sempre nuove ed affascinanti opportunità, la curiosità nelle cose e negli altri; la forza interiore che ci fa vedere che il tutto dipende da noi e che ci fa credere che se non possiamo dominare gli avvenimenti, possiamo controllarne le conseguenze.

L’autostima è dunque la convinzione di noi stessi: chi sono, chi credo di essere, che “etichette” mi do. Autostima significa da un lato avere la capacità di accettarsi, così come si è: anche nei nostri limiti e difetti. Significa rispettarsi come essere persona al pari degli altri, essendo consapevoli del proprio valore. Ma significa anche vivere e valutare la propria vita come un’avventura dentro la quale immergersi per scoprire piccoli e grandi tesori che a volte nascondiamo anche a noi stessi, figuriamoci agli altri.

Spesso si sente dire “Io sono fatto così”, perché a molte persone può sembrare a volte utile non mettersi in discussione. Eppure come si diceva una volta "il tempo è galantuomo" e sono profondamente convinto che senza mettersi in discussione non si cresce: è solo avendo consapevolezza dei propri errori e dei propri limiti che possiamo crescere, cambiare, migliorare.

Possiamo migliorare la nostra autostima anche da soli, attraverso piccoli comportamenti da applicare quotidianamente. Come il corpo, per vivere, ha bisogno di cibo così anche l’autostima ha bisogno di essere “potenziata”.
Impariamo allora a celebrare anche i piccoli successi della nostra giornata, ringraziamoci davanti ad uno specchio per essere riusciti a fare qualcosa che ci da soddisfazione, che ci fa sentire meglio.

Ma avere autostima significa anche vivere con entusiasmo, cercando l’entusiasmo ovunque, dentro e fuori di noi.
Alcune persone sono consapevoli che non bisogna affidarsi al caso, né alle altre persone(almeno non spesso!), per potenziare la propria crescita personale. Sarebbe dunque bene che fossimo noi, e solo noi a costruire la nostra felicità o la nostra infelicità.
L'entusiasmo in questo ci aiuta: è uno slancio di tutto il nostro essere verso lo scopo che ci siamo prefissati per cui, una volta fissato l'obiettivo, ci tuffiamo con tutto il nostro essere nell'azione necessaria a raggiungerlo.
L'entusiasmo ci permette di creare e di realizzare molte cose. La cosa fantastica è che non ha età, non ha sesso, e risiede potenzialmente in ciascuno di noi. Basta farla uscire e rimuovere eventuali ostacoli che gli impediscono di manifestarsi.

Un buon coach può affiancare allora la persona nello sviluppo della propria autostima e del proprio entusiasmo, accelerando la trasformazione del proprio potenziale in successi entusiasmanti e duraturi!

A presto!
Marco Di Lullo


* Robert Dilts, ricercatore e trainer PNL americano, basandosi su alcune intuizioni dell'antropologo Gregory Bateson, ha considerato la struttura mentale come una serie di livelli GERARCHICI naturali (partendo dall'ambiente, più esterno, passando per i comportamenti, le credenze, i valori, fino a giungere all'identità e alla spiritualità, livelli sempre più profondi)...su questo e su molto altro approfondirò in seguito.

martedì 22 giugno 2010

Motivazione

L'altro giorno ho fatto docenza in un corso specifico sulla Motivazione: il risultato è stato davvero entusiasmante, per me, ma credo anche per l'aula.

Ho seguito diversi corsi sulla motivazione come allievo, letto libri, ascoltato diversi "guru", ma quel che mi ha sempre lasciato basito è l'eccessivo stress sugli aspetti legati all'atteggiamento mentale e all'utilizzo del linguaggio positivo:
mente e Linguistica insomma, due classici della pnl-programmazione neuro linguistica, che a me sono sempre sembrati aspetti importanti ma riduttivi della complessità dell'animo umano.
Anche io ho affrontato chiaramente questi "classici", ma ho tenuto a sottolineare molti altri aspetti:
1) l'importanza delle nostre emozioni, come veicolo principale della motivazione, ma anche volano della creatività, per la rimozione dei principali ostacoli che alle volte incontriamo nella nostra strada e di cui non ci rendiamo conto;
2) la bellezza del gioco e della sperimentazione
3) la centralità del significato personale che diamo ai nostri obiettivi, che solo un ascolto interiore ci permette di esplorare autenticamente;
4) la valenza pedagogica dell'errore (tutti sbagliano, e nessuno impara senza provare e riprovare);
5) la valorizzazione della diversità (nostra e degli altri)...che vita noiosa sarebbe se fossimo tutti uguali o perfetti;
6) alcuni modelli strategici per raggiungere efficacemente le proprie mete (tipo P.A.C.E. E M.E.R.I.T.O.!...ringrazio infinitamente Giovanna Giuffredi per avermeli trasmessi)...;
7) piccoli suggerimenti di ordine pratico che possono tornare utili nell'azione (come pensare su carta, analizzare la realtà, apprendere dagli esempi che sentiamo vicini a noi etc..)

Il tutto è stato condito da esempi concreti, filmati, brevi racconti ed esercitazioni, che in un ottica esperenziale hanno suscitato kolbianamente* parlando, appunto, esperienza, osservazione (e riflessione), concettualizzazione e sperimentazione.

Per concludere vi posto il video tratto dalla Ricerca della Felicità, con cui ho concluso spero degnamente il corso, e che riassume in un 1' e 48'' molti dei punti esposti.

Buona visione! :)

Marco Di Lullo

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* David Kolb ha sintetizzato nel 1984 le ricerche sul processo di apprendimento esperenziale, sulla base delle teorie di Dewey, Lewin e Piaget; appena possibile mi soffermerò in un post specifico su questo e altro ancora...

lunedì 24 maggio 2010

Il Talento, ce n'è per tutti

Spesso in azienda si sente parlare di persone ad "alto potenziale", high flyers, top performers etc etc..
Aldilà del linguaggio utilizzato quando si parla di talenti si fa quasi sempre riferimento ad un gruppo ristretto di persone che dovrebbero contribuire al successo dell'azienda più di altre, perchè "dotate" di capacità e potenzialità eccellenti, che portano sempre, o quasi sempre, a delle performance superiori...e per questo motivo tali gruppi ricevono numerose attenzioni (tanto per cominciare si comincia a parlare di talent retemption, ma poi vengono coccolati con specifici corsi di formazione, percorsi di carriera ad-hoc, fuori busta etc.).

A volte però ci sono delle buone probabilità che non si possa procedere in questo senso, e che anzi si ottenga un effetto boomerang.
Perchè? Le ragioni sono molte:
  1. la performance organizzativa non è sempre data dalla somma delle performance individuali e spesso non c'è sufficiente analisi e controllo degli elementi che hanno contribuito a migliorare le performance stesse;
  2. un sistema di valutazione delle performance eccessivamente sbilanciato sui talenti alimenta spesso la creazione di una elite chiusa, con conseguenti problemi interni a livello di clima, integrazione e organizzazione.
  3. può accadere che i "low performers" (tutti gli altri), proprio perchè ricevono meno stimoli e riconoscimenti riducano la loro produttività e generino una maggiore conflittualità interna.
In sostanza credo che qualsiasi sistema di talent redemption abbia in se un peccato originario, che è quello di mettere le performance al centro di qualsiasi discussione in merito, piuttosto che la persona ed il suo potenziale.

Mettere le persone al centro delle organizzazioni non vuol dire utilizzare la politica del bastone e della carota rispetto a performance prestabilite a tavolino, ma significa ad esempio iniziare ad utilizzare dei sistemi di valutazione del potenziale che solo poche aziende mettono in pratica.
Questa omissione viene giustificata spesso dalla mancanza di fondi, ma a ben vedere la vera ragione è frequentemente una cultura organizzativa poco sensibile a questi temi, per ragioni che nulla hanno a che fare con una sana crescita non solo delle persone, ma dello stesso business, soprattutto in un contesto come quello attuale.

Quindi coltivare il talento delle persone è una cosa, cercarlo è un altra.
Se pensiamo poi che, secondo quel che dice anche molta letteratura, il talento non risiederebbe nei "geni" ma in ogni individuo, ed in particolare nelle attività che svolgiamo con minor sforzo o con più passione, allora la questione è prettamente culturale, con ricadute sul piano organizzativo, e a cascata su quello economico, anche generale.

Sono del parere che ognuno di noi ha almeno un potenziale talento che sfrutta solo in minima parte, per paura, pigrizia, o a causa di ambienti a lui sfavorevoli.

Cosa dovrebbero fare le aziende allora, oltre a implementare dei sistemi di valutazione del potenziale? Sicuramente agevolare la mobilità interna, e il confronto cross-funzionale.
In fondo la mobilità del lavoro in Italia (sia dentro che fuori l'azienda) è lenta come il nostro Pil.

Ma gli Hr manager dovrebbero spesso anche astenersi da politiche di employer branding [1] soprattutto se queste non sono sostenute dalla prova dei fatti, ovvero da un equilibrata gestione sia degli high che dei low performers, e dunque da una gestione globale del benessere organizzativo nel suo insieme.
La coerenza è daltronde è una virtù che vale sia per le persone che per le organizzazioni.



[1] Quando si parla di employer branding, si fa riferimento a quel nucleo di attività indirizzate alla creazione di un’immagine aziendale coerente con l’identità dell’azienda stessa intesa come luogo di lavoro, in maniera tale da attrarre e fidelizzare le risorse di talento



Riferimenti bibliografici :
  • Amendola, 2004 (2004) “Employer branding: sviluppare un’efficace strategia di marketing per attrarre talenti” n.2 giugno, 2004, Direzione del Personale, Miscellanea
  • Jaoui H., (2000) La creatività: istruzioni per l’uso, Franco Angeli, Milano

domenica 9 maggio 2010

Il coaching

Secondo la Federazione italiana coach il coaching è un rapporto di partnership che si stabilisce tra coach e cliente con lo scopo di aiutare quest’ultimo ad ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che personale. Grazie all’attività svolta dal coach, i clienti sono in grado di apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie di azione che permetteranno loro di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita.

Aggiungo io che ciò è possibile grazie ad un supporto metodologico rigoroso, fondato su “domande potenti”, “riformulazioni costruttive” e “feedback motivanti”, che prendono spunto dall’ascolto attivo del cliente e da un generale clima di fiducia e di rispetto reciproco con il coachee.

Attraverso questi strumenti riusciamo spontaneamente a mettere a fuoco i nostri obiettivi, a organizzare il nostro tempo in funzione di uno stato desiderato, a individuare risorse e strategie necessarie per raggiungere obiettivi specifici, ma soprattutto impariamo a capire, ad ascoltare e a individuare dentro di noi inconsapevoli potenzialità, ancora inespresse, ponendo le basi per un ponte nel futuro.

L’aspetto meraviglioso del coaching è che tutto questo avviene non grazie al punto di vista esterno del coach, ma attraverso un percorso spontaneo di sviluppo interiore che ha effetto già dalle prime sedute. E’ come se sviluppassimo una sorta di terzo occhio che ci osserva e ci aiuta a prendere consapevolezza: questo terzo occhio è il nostro, ed è quello della consapevolezza interiore!

giovedì 6 maggio 2010

Blog - Anno Zero - post I°

Forse avevo semplicemente bisogno di uno sfogatoio..forse mi sono lasciato condizionare dal fatto che "si dice in giro" che "tutti" ormai hanno un blog, forse...appunto.

A cosa serve questo blog?

In generale questo blog serve per riflettere, per confrontarmi prima di tutto con me stesso, ma poi anche con gli altri, per convogliare un pò di energie residue in un canale comunicativo che potenzialmente raggiungerà persone in regioni remote della nostra penisola, difficilmente altri continenti....

Su quest'ultimo punto vorrei citare Guzzanti, che diceva "Ma se io ho questo nuovo media, ho la possibilità cioè di veicolare informazioni in un microsecondo, poniamo a un aborigeno dalla parte opposta del pianeta....il problema è: abboriggeno, ma io e te... che cazzo se dovemo di'?

Scusate la caduta di stile, eppure, tornando seri, anche quando pensiamo di essere soli, quando ci sembra di fare un passo in avanti ma di farne due indietro, beh, sono convinto che c'è qualcuno in qualche parte di universo che ci può capire, qualcuno che ci può dare una mano, anche una semplice voce, una testimonianza, una presenza anche impercettibile con cui comunicare.

Sono convinto dell'importanza del miglioramento continuo, del cambiamento, del confronto con l'altro, ma credo fermamente soprattutto che ognuno di noi porti dentro di se un pezzo di verità, ed è per questo che credo che ognuno debba cercare la propria strada, la propria realizzazione.

Il coaching in questo è un'arte magnifica, non suggerisce una soluzione, ma aiuta le persone a cercare la propria.

Come insegna la mia grande maestra, Giovanna Giuffredi, "la vita che vuoi è la sola che avrai".

Se riusciamo a capire cosa vogliamo veramente ci basta fare un passo dietro l'altro per arrivare a destinazione.
A presto!
Marco Di Lullo